Sia lodato Gesù Cristo; e sempre sia lodato

Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo capito tutti quanti che questo è un vangelo prepasquale, cioè parla dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme ove Gesù viene per donare la sua vita nell’Eucarestia e nel sacrificio della croce. Ma la Chiesa oggi ci dice di leggere questo brano, questo fatto della vita di Gesù, sullo scorcio del tempo dell’Avvento: il Messia che viene, che viene in mezzo alla città degli uomini, viene a salutare e a salvare tutti quanti. Mi viene un pensiero: in questa pagina che leggiamo, mi pare che manchi un personaggio, il personaggio più importante del Vecchio Testamento, decisamente Giovanni il Battista il quale, quando avveniva questo fatto, era già glorioso nel cielo dopo la gloria del suo martirio. Ma mi piace pensare a lui che dal colle degli ulivi guardava la santa Gerusalemme con tutto quel vociare di gente che acclamava Gesù. Che cosa sarebbe passato nel cuore e nell’animo di Giovanni il Battista, colui che aveva annunciato il Messia e, unico tra i profeti dell’Antico Testamento, ebbe anche la grazia di vedere, parlare, stringere la mano, addirittura donare il Battesimo di penitenza al Messia, a Gesù di Nazareth?

E allora ecco un pensiero su Giovanni il Battista che illustra ancora meglio i nostri sentimenti in preparazione al tempo liturgico del santo Natale. Mi viene di incominciare con una domanda che voglio rivolgere a Gesù, a proposito di Giovanni il Battista: Tu, oh Signore, ci dici ben poco del cugino Giovanni e il più dobbiamo immaginarcelo. Ci dici poco a cominciare dalla parentela, che noi abbiamo ipotizzato in cuginanza, ma che nel Vangelo è molto vaga: parente, si dice, di Elisabetta rispetto a Maria. Ci dici, o meglio lasci dire dall’evangelista, di quel suo sussulto prenatale, ancora nel grembo di sua madre; sembra un bel simbolo del quale forse noi abbiamo tratto sproporzionate conseguenze teologiche, quasi che fosse stato quell’incontro delle madri e dei figli, da grembo a grembo, a santificare Giovanni e non invece il tuo dono, oh Signore, e la sua vita (la vita di Giovanni).

E come simbolo sta bene proprio perché ti aveva preparato la strada: era prima di Te, stava alla porta, come Mosè che avrebbe solo visto la Terra Promessa, ma non l’avrebbe abitata. E difatti Giovanni ti vide, ma non abitò con Te come avrebbero abitato gli apostoli. La geometria allegorica quadra e allora quadrano anche altre cose: il suo calcare sul digiuno, mentre i tuoi apostoli banchettavano perché erano con lo sposo e lui invece non ancora.

Sebbene vivesse nello stesso periodo e ti avesse conosciuto e predicato, egli significava il prima, il tempo dell’attesa, significava sì quel tanto di incontro che c’è anche prima di incontrarti, ma soprattutto quel tanto di attesa che permane anche dopo averti incontrato. Perché il nostro incontro sulla terra con Te è sempre parziale e tutti i giorni fino all’ultimo sono un’attesa di Te o, se vogliamo cambiare paragone, sono un tramonto, un declinare rapido di tutti gli incontri e i dialoghi. E Tu che vieni al Giordano, chiedi il battesimo e poi te ne vai subito; ed è immediatamente sera. Ma l’ultimo giorno no; l’ultimo giorno sarà un sabato, dice Agostino, qui nescit occasum, un sabato che non conosce il tramonto.

E allora comincia a questo punto a interessarci di più la vocazione al deserto di Giovanni; non era una novità, anzi era una tradizione in Israele, e anche presso altre fedi, che i profeti fossero spesso solitari. Il deserto vuol dire molte cose: la povertà, l’austerità, la spogliazione, il digiuno del corpo e del cuore, ma nel contempo l’ascolto e l’attesa di Dio, il conversare silenzioso con Lui.

E io credo, oh Signore, che vi siano molte dimensioni del deserto: dalle più austere e purgative alle più gioiose e sponsali. E ciascuno trova la propria dimensione, ogni eremita e anche ogni uomo, perché in ogni uomo sonnecchia un eremita che si realizza a tratti e solo in qualcuno balza fuori di forza e si fa largo per andarsi a cercare il suo deserto, quel tipo e quel timbro di silenzio che gli è più congeniale. Così anche in Giovanni, lo spirito eremitico crebbe e si impose di prepotenza; volente o nolente, lo sappiamo, lo trascinò nel silenzio e lo inghiottì. Perché un eremita è un uomo mangiato dal silenzio e che mangia il silenzio: un uomo mangiato, triturato, cancellato in ogni sua mondanità, e nutrito del Verbo silenzioso del Padre.

Che cosa fosse per Giovanni questo silenzio del deserto... se la fuga dalle lusinghe del mondo oppure l’attesa e la comunione con Te? Questo non ci è detto, ma se l’uomo fu in qualche modo omogeneo col suo simbolo, in sintonia con la sua missione che poi doveva esercitare, è lecito supporre che il suo deserto fosse a metà tra la mortificazione e la consolazione, tra l’ascetismo cupo di chi Ti sente lontano e l’estasi gioiosa di chi Ti avverte prossimo, presente, in dialogo con lui.

Per Giovanni, Tu non eri ancora presente, però eri in arrivo; eri lontano ma ti stavi avvicinando. La sua quindi doveva essere un’attesa gaudiosa e trepida, già percorsa dal presagio della tua venuta, una sorta di stagione di avvento (ecco perché leggiamo questa pagina di Vangelo nell’avvento) a livello personale, che sintetizzava l’attesa di tutto un popolo. Un deserto penitenziale perché, almeno simbolicamente, era ancora prima del tuo Regno, ma di una penitenza che a scatti si faceva dolce e tenera, già venata di gioia perché alle soglie dell’incontro; una sorta di acerba primavera con l’erba che preme sotto il gelo e vuole spuntare; come del resto il suo deserto: terra arida e secca, con venature fulve verdastre e il plumbeo sfondo del mar Morto. Ma accanto ci scorreva il Giordano e dove c’è un fiume non c’è più il deserto, ma acqua verde, giunchi, rami che saltano nella corrente viva e gracidano nella notte animali. E lì a due passi, c’era anche Gerico, città celebre per le sue rose.

In quel deserto, in quel clima viveva dunque Giovanni il Battista. Tra le ore del giorno e della notte, amava soprattutto l’alba, come presagio di chi deve venire; e l’acqua là nel Giordano e nel mar Morto era più luminosa del cielo perché la più grande teofania dell’alleanza ora sarebbe stata sulla Terra, nella carne di un uomo. E Maria: il grande mare, la grande acqua luminosa, la grande Terra gravida di cielo. Giovanni non poteva sapere tante cose, ma forse ripeteva i versetti di Isaia: “Grondate cieli dall’alto, nubi fate piovere il Giusto, si apra la Terra e germini il Salvatore”.

Carissimi fratelli e sorelle, il muto deserto, in attesa della Parola detta da Dio, era questo; l’alba tutta tesa all’evento era questo; il sole che stava per sorgere era questo. Ecco perché anche nel nostro cuore sgorgano le parole di Giovanni attraverso i versetti di Isaia: “Grondate cieli dall’alto, nubi fate piovere il Giusto, si apra la Terra e germini il Salvatore”. E così sia. Don Enrico Vago