La strage di piazza Fontana insegna, anzi è l'esempio lampante che la strategia del terrore serve per opprime le rivendicazioni di uguaglianza e diritti che la gente comune mette in atto quando qualcuno apre loro la possibilità di farlo.
La strage, operata della estrema destra, con mandanti e protezioni di alti vertici dello Stato per mettere in atto leggi liberticide dando la colpa agli anarchici, alle sinistre più o meno estreme, ai sindacati, ai marziani e a chissachi, dopo secoli di processi, nel Bel Paese delle mezze verità, ripropone riflessioni che purtroppo sono per pochi eletti.
Non sono per la gente dalla memoria corta, per quelli che postano gattini e "uffa che caldo", meme e ministri affetti da bullismo, che insultano persino chi gli ha teso la mano fino a ieri in oratorio e qualsiasi altra cosa, pur di non pensare, di non studiare, di non fare fatica.
Ma per chi ha un briciolo di tempo, di voglia, di cultura, chi ha desiderio di guardare fuori dalla caverna e smettere di guardare le ombre dei draghi di cartone del potere, c'è una speranza che è forte. Infatti, come la storia ci insegna, la ragione ha la sua forza. Certo davanti alle ragioni della forza sembra soccombere, trema, magari progetta persino la fuga, ma prima o poi mostra una via.
Purtroppo nel frattempo la gente muore. Muore per le menzogne, muore cadendo distrattamente dalla finestra, muore per un lacrimogeno sparato in faccia, muore per idee che vengono schiacciate per non perdere il potere, il controllo. E intanto muore la libertà di esprimersi, di potersi confrontare, di chiedere la verità, di poter piangere i propri morti.
Muore e risorge? Solo in chi non si arrende, solo in chi si sbilancia. Oggi come ieri la Verità o la si cerca o la si uccide.
Ieri in piazza Fontana, oggi nel Mediterraneo. Ieri a Ustica, oggi in Egitto. Non c'è alcuna differenza: c'è chi lotta per la libertà e chi uccide la libertà.

E la Chiesa? E noi credenti? E i discepoli di Cristo?
Troppo educati ad essere pecore scelgono pastori più forti, più promettenti, più rassicuranti. Oggi come ieri.
Essere di Cristo è difficile: si rischia di morire come lui. Si rischia di non salvare la propria vita, ma di perderla per chi nel mondo non vale niente, per chi non ha diritti, riconoscimenti, né apparenza, né bellezza.
E noi pastori spesso educhiamo il gregge senza dare l'esempio, con prediche noiose che non richiedono alcun coraggio se non la pazienza che finiscano. Anche noi abbiamo paura di perdere, di non contare niente, di non valere. In più abbiamo paura di perdere consensi, paura che se ne vadano anche loro. Allora ci barcameniamo tra la difesa di baluardi di un cattolicesimo da retrovie e un cerchiobottismo per non scontentare il Podestà di turno e averne utili e favori. Vogliamo anche noi la nostra fettina di vittoria, di notorietà, di potere, di lustro e anziché dar loro il pane della condivisione, della fatica, della Verità; li rimandiamo a casa affamati a comprarsi da mangiare qualcosa, qualunque cosa.
Ma poveri siamo anche noi, spesso lasciati soli a decidere tutto con pochi strumenti e troppo potere; potere consegnato anche da chi "si nasconde con protervia dietro a un dito, da chi non sceglie, non prende parte, non si sbilancia o sceglie a caso per i tiramenti del momento"[1].

Ma quando entro in carcere e sento l'odore di quei corridoi, il rumore di quei catenacci, vedo le croste di intonaco che cadono, il soffoco estivo di celle punitive e non rieducative, vedo la vendetta sociale e non la riabilitazione delle persone... e capisco tante cose. Capisco che potevi esserci io lì. Che in Comasina potevo finire male come Iseo o Massimino, morto ammazzato o di droga o di malavita. Capisco che tra i giusti e peccatori il confine è incerto e si risveglia in me un barlume di umanità; vorrei prenderne almeno uno per mano e portarlo fuori, sanato. Vorrei che dalla finestra potessero vedersi le cime delle montagne ed il sole che sorge su una speranza. Vorrei sentirmi buono e utile. Vorrei che almeno uno piangesse per il suoi sbagli davanti a me chiedendo scusa perché possa assolverlo, e non girato di spalle contro il muro di una cella fetida. Vorrei il Paradiso e non questo inferno: per me, per lui. Vorrei non soffrire qui con lui. Vorrei non soffrire come lui. ...e qui cado di nuovo nel peccato più grande: non soffrire con lui. In fondo non vorrei morire con lui sulla croce che lui - e non io -  si è meritato.

Il Vangelo davvero salva il mondo solo se vivendolo fino alla morte tendo la mano a chi non se lo merita. Proprio come Cristo ha fatto con me. Ma questo non produce "like", non fa profitto, non prende consensi elettorali, non riceve nemmeno elemosine... eppure anche solo a pensarci per un attimo, malgrado la paura, fa riposare il mio cuore in un'altra Verità. Definitiva. E finalmente capisco quanto distante sono dal mio Maestro.

 


#DinDonCafé
dsb


[1]. cfr. Addio, F. Guccini